Il Taccuino
DEDALOMULTIMEDIA
06-03-21
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Noi siciliani, pur con qualche eccezione, non siamo mai stati razzisti. Nemmeno in tempi recenti, in cui via col ventoil razzismo è diventato di moda. L’ultima dimostrazione l’abbiamo data di recente, accettando senza battere ciglio persino un leghista come assessore dei beni culturali e dell’identità siciliana. Poi, naturalmente, abbiamo finito per esagerare con il nostro spirito tollerante, non avendo da ridire nemmeno alla notizia che lo stesso avrebbe scritto una poesia sui “monaci dell’onore”, ignobili campioni della pura razza ariana.

Ma lasciamo perdere. Il tema che vogliamo proporvi è di segno contrario, quando la purezza e i nobili sentimenti dell’animo diventano ridicoli.

Ci scuserete se abbiamo usato la parola “ridicolo” in un contesto come quello del razzismo che semmai è tragico. E l’abbiamo fatto nell’ambito di una vicenda, come quella di George Floyd, che richiede un forte ripensamento anche sulla nostra pretesa di essere immuni, almeno a parole, da tutte le forme di discriminazione razziale.

Il motivo del nostro risentimento è che, come spesso accade quando si perde il senso delle cose, si finisce per smarrire il vero obiettivo di una protesta, per il resto sacrosanta.

Quello che seguirà ci farà forse tacciare di intellettualismo, di snobismo, di appartenere alla categoria non ben definita ma dispregiativa dei radical chic, ma la furia iconoclasta che si è scatenata soprattutto negli Stati Uniti, con echi dello stesso tenore in tutto il mondo, sa di pretesto. In particolare della mania intervenuta di abbattere statue di presunti razzisti, fuori contesto e fuori dalla storia.

Non essendo mai stati innamorati del continente-isola che altri chiama Regno Unito, se non ai bei tempi di Beatles e Rolling Stones e quando incontri qualche amico anglo-calabro, non c’è da soffermarsi tanto sulle violenze dedicate colà all’effige di Sir Winston Churchill. Non si può chiedere ad un nobile inglese di essere al contempo benemerito difensore della libertà e uomo di aperte vedute. Già ha fatto tanto a non girare con la parrucca e il sigaro, che sono notoriamente oggetti incompatibili.

Non ci sorprende nemmeno che sia stata presa di mira la figura di Cristoforo Colombo, ma per motivi decisamente opposti. È da anni che negli USA viene criticato il grande navigatore e con lui il Columbus Day, la festa degli italo-americani, con un probabile e malcelato spirito anti-italiano.

La storia di Cristoforo Colombo, un po’ spagnolo, un po’ portoghese e molto genovese è stata sempre molto discussa e non soltanto adesso. Già al suo ritorno in patria (ma la Spagna è stata mai veramente la sua patria?) le accoglienze furono freddine, al punto che subì un processo e venne espropriato del controllo di quelle terre che aveva scoperto.

Vittima e aguzzino. Questo doppio aspetto continuerà a segnare la sua figura. Sarà, da un lato, lo scopritore di nuove terre, il personaggio storico protagonista di uno degli eventi più importanti dell’umanità, ma dall’altro, sarà anche il responsabile di uccisioni e repressioni ferocissime.

Le prime contestazioni anti-Colombo risalgono al XVI secolo e provengono in particolare dai Paesi dell’area protestante dell’Europa, preoccupati dall’espansionismo spagnolo e portoghese. Una vera e propria campagna ideologica, con motivazioni formalmente giuridiche e religiose ma più che altro per interessi commerciali.

Se passiamo sul piano economico-religioso, prima o poi verrà messo in dubbio pure il St.Patrick’s Day, la parata in onore di San Patrizio, patrono d’Irlanda, che a New York è forse più imponente di quella che si celebra nel suolo natìo. La festa commemora, oltre che l’orgoglio irlandese, l'arrivo del cristianesimo in Irlanda durante il quinto secolo d.C. proprio grazie al Vescovo Patrizio e in fin dei conti anche il cristianesimo non è visto di buon occhio dai puristi.

C’è un bel libro, Manituana, che narra della guerra di indipendenza degli Stati Uniti vista con gli occhi dei nativi americani, il cui sangue era già in parte mischiato con quello inglese e irlandese. La ricostruzione storica abbastanza accurata attribuisce una certa colpa alla scomparsa di intere tribù della costa orientale agli Inglesi, ma anche ai cosiddetti bostoniani, gli uomini guidati da George Washington e sostenuti dalla Francia. Se andiamo al fondo della questione, può darsi che ci toccherà abbattere pure qualche statua dei padri nobili della patria americana e non vorrei macchiarmi di cotanto oltraggio.

Come sempre finiamo con il divagare. Un malcelato spirito patriottico ci ha fatto cambiare strada dal tema iniziale. Il film “Via col Vento”, improvvisamente, dopo quasi un secolo di scassamento di cabasisi, nel gergo colorato di Cammilleri, è stato ritirato dalla piattaforma HBO Max e da qualche storica sala cinematografica, perché razzista.

Prescindiamo dal fatto che questo film è tra quelli preferiti da Donald Trump, il che apre diversi scenari: dal 1936 ve ne accorgete adesso? dopo avere votato il taycoon? Adesso sarete tentati di imbrattare o buttare a terra la Trump tower, al numero 725 della Fifth Avenue.

Intanto il romanzo è del 1936 e il film del 1939 e questo dovrebbe dirvi come la cultura del tempo non fosse poi troppo dissimile al di qua e al di là dell’Atlantico. La storia, poi, è ambientata nel Sud degli Stati Uniti durante la guerra di secessione, e volete che non sia razzista? Non sarebbe stata una ricostruzione fedele e nemmeno attendibile.

Quanto al film in sé, il clima dalle parti di Los Angeles e dintorni non doveva essere idilliaco alla fine degli anni trenta se il primo Oscar ad un’attrice afroamericana, quello a Hattie McDaniel, migliore attrice non protagonista nel ruolo di Mami, non fu consegnato nel Kodak Theatre come gli altri per colpa delle cosiddette Jim Crow laws, le leggi in vigore fino al 1965, che vietavano a bianchi e neri di stare assieme. E Hollywood ci pensa solo adesso?

Bisognerebbe buttare a terra, per coerenza, metà dei simboli della storia americana, di quella inglese e francese, di quella spagnola e portoghese. Con modeste ma decise puntate in Germania e in Italia, altro che Rossella O’Hara e Clarke Gable (scusate se confondo attori e personaggi)!

L’eccesso di zelo porta sempre con sé risultati di segno contrario. Una battaglia di civiltà, magari indignata e spesso inevitabilmente violenta, una dimostrazione di sdegno per comportamenti disumani, figli di una discriminazione infinita e intollerabile (che attraversa persino le nostre italiche campagne un tempo vergini), scade nella farsa e finisce in questo modo per trasformarsi in una semplice occasione di flash mob.

Forse qualcuno vuole proprio questo?

Quanto al film, francamente, miei cari, me ne infischio.

Peppino Margiotta

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