Si può scrivere in prima persona senza sentirsi Gianni Brera? Basta non parlare di sport e non essere tifosi del Genoa. Come si può avere un sogno senza sentirsi Martin Luther King? Basta essere bianchi e non avere troppa immaginazione. Come si fa ad avere un sogno in una notte di mezza estate senza sentirsi William Shakespeare? Basta essere ennese, sapere solo un poco di inglese e non essere megalomane.
Ed è allora da ennese che mi accingo a narrarvi di un sogno fatto proprio nei giorni di ferragosto e, proprio come nella commedia, è la storia di due mondi: uno incantato, popolato da fate ed elfi, e l’altro reale, che vede protagonisti artigiani e amanti.
Vedo subito la vostra delusione. Vi sareste aspettati, essendo siciliani, un sogno che riguardasse il ponte sullo Stretto, ma quelli sono sogni da ingegnere, e fare il proprio mestiere di questi tempi e da queste parti non è salutare.
Per inciso, mai ci saremmo aspettati, da gente concreta, popolare, movimentista, post ideologica e di governo, idee così gramsciane. In altre parole, il mito dell’intellettuale organico, per cui chi ha dei ruoli deve utilizzarli per una idea o un’ideologia. Secondo questa tesi l’intellettuale puro, il tecnico, se volete, non esiste e non deve esistere. Salvo poi “spararsi le pose” solo per sentito dire. I più giovani tra voi, che per fortuna alimentano quel poco di vita ancora rimasta in città, in zona Belvedere e dintorni, direbbero "se la tira", ma comunque ci siamo capiti.
Ma se vogliamo per un attimo scivolare nel fantastico, questi “popolar chic” ci ricordano vagamente la favola del lupo e l’agnello, per cui se non è colpa tua sarà colpa di tuo padre, etc. etc. l’importante non schierarsi o schierarsi contro.
Con queste premesse, vi aspettate allora un racconto sulle vicende amministrative ed elettorali che dovrebbero appassionarci all’appropinquarsi dell’autunno. Ma c’è poco di incantevole nell’improvviso gioco della briscola a cinque che si è innescato nelle ultime settimane. Scoprire chi è il compagno di gioco è forse divertente per gli aficionados, ma per chi assiste può essere stressante o può semplicemente annoiare. Allora, se siete il “comandante”, è più facile individuare gli avversari, perché sono tre ed è statisticamente più facile di trovare il compagno.
Ma allora qual è questo benedetto sogno?
Vedere Enna tornare al suo posto di capoluogo di Provincia al pari degli altri otto.
Abbiamo visto in questi giorni recuperare la direzione della motorizzazione ad Enna, ma solo per iniziativa e merito della consigliera Palermo, mentre dotti, medici e sapienti erano in altre faccende affaccendati. Come nessuno si era preoccupato che la dirigenza dell’Urega (l’ufficio regionale degli appalti) era stata accorpata a Caltanissetta appena l’anno scorso, senza colpo ferire.
Abbiamo visto uomini saggi o stolti litigare per appropriarsi politicamente di Università e di ex Ciss, con una inammissibile asimmetria nei comodati d’uso, per cui si mantiene a destra e si toglie a sinistra, si chiede a destra e si rifiuta a sinistra. Cercando di contrastare ciò su cui non si ha il controllo politico, quasi che le risorse a disposizione di questa cittadina sempre più povera ci potessero permettere di scialacquarle.
Abbiamo visto nel recente passato l’uso della burocrazia a fini ideologici, osteggiando e multando a casaccio, per rivelare alla fine la verità drammatica o banale di voler difendere un preteso indotto economico più grosso, quello privato degli alloggi. Una miopia politica di paese, non il respiro di uno sviluppo economico di un capoluogo, che crea occupazione e non solo redditi aggiuntivi. Alla fine, ma solo alla fine del percorso ad ostacoli, arriva la solita soluzione salomonica, il bene superiore, il pregio storico.
Strapparsi i capelli per i beni storici, artistici e monumentali e non muovere un dito per la loro valorizzazione è uno sport in voga da molti anni. Si mantiene il lago nel limbo dei topi d’auto, che approfittano dei malcapitati jogger; si tengono chiusi o socchiusi i nostri musei, non si interviene da decenni sui grandi monumenti cittadini, mentre sindaci garibaldini della provincia drenano risorse in continuazione, presentando progetti e partecipando a bandi, ottenendo finanziamenti, facendo lavori e chiedendone di nuovi, alla Regione, ai Ministeri all’Europa.
Ci sono uffici regionali, come il Genio Civile, che solo nell’anno passato hanno impegnato somme per quasi dieci milioni di euro per lavori di manutenzione stradale e fluviale, per lavori di somma urgenza e monitoraggio dei ponti provinciali, senza che dalle istituzioni politiche locali venisse il minimo interessamento. Oggi però si magnificano ottanta mila euro (sic) per la Calascibetta-Nicosia o somme indeterminate per altri interventi attesi da anni.
Il Comune (lasciamo perdere la ex provincia, che sopravvive e che dal transito Crocetta-Musumeci non ha tratto alcun beneficio tangibile) non può risolvere tutti i problemi, a volte non ne ha competenza diretta, ma deve smuovere, sollecitare, coordinare le altre istituzioni presenti sul territorio. Abbiamo visto in questi ultimi anni singoli assessori muovere timidi passi in questo senso, con determinazione e convinzione, abbiamo visto addirittura le commissioni consiliari muoversi nella stessa direzione, ma non basta, soprattutto se la linea politica è diversa o non ha chiara la propria missione. Onore a questi assessori, ma non basta.
Deve essere l’amministrazione tutta a muoversi, l’indirizzo politico deve essere quello di considerare le altre istituzioni come possibili alleati e non come avversari politici o inutili strumenti. Per dirla tutta, deve essere il Sindaco a muoversi in nome della città, nell’interesse della città, a far valere le ragioni di un territorio altrimenti derelitto, che ha perso i grandi riferimenti politici (e le relative rappresentanze).
Fare la guerra agli avversari, invece, sembra da tempo l’unico interesse di chi ci governa. Non si valorizzano gli uomini e le risorse che abbiamo ma si evidenziano solo i loro difetti (veri o presunti), qualche volta per sentito dire. E questo vale a volte anche per l’opposizione.
La fine delle ideologie non può significare essere di destra oggi e di sinistra domani e civico dopodomani, a convenienza. Semmai esserlo a convenienza di un progetto unico, minimo ed esistenziale per questa città, dove ciascuno rinuncia a qualche cosa per raggiungere quello che, in maniera nostalgica, qualcuno continua a chiamare “bene comune”.
Ho un sogno: la fine dell’ideologia fine a se stessa, ma anche la fine del movimentismo fine a se stesso. La fine delle favole, pronte a giustificare ogni scelta, anche le più incomprensibili e suicide. “Mai con il lupo cattivo, mai con il partito dell’uomo nero” è diventato da tempo uno slogan buono per svincolarsi in ogni occasione, ma ormai fuori stagione.
PS. Per chi non lo sapesse, non ci sono lupi dalle nostre parti e l’uomo nero, come Babbo Natale, non esiste.
Peppino Margiotta