Alcuni di noi non hanno resistito, qualche sera fa, alla tentazione di rivedere il capolavoro di Sergio Leone con lo struggente Tema di Deborah nel finale. Nella colonna sonora forse più bella mai scritta per il cinema, Ennio Morricone ha permesso di inserire anche musiche intramontabili e struggenti, come God Bless America e persino un arrangiamento di Yesterday di Lennon-McCartney.
Saranno state le musiche o l’atmosfera o tutto assieme, come si conviene ad un capolavoro assoluto, ma abbiamo pensato che anche la nostra città, nel suo piccolo, è stata capace di comporre una favola, una storia. “C’era una volta a Enna” non è stata solo la vicenda di una cittadina di provincia come tante ma il vero ombelico della Sicilia.
Qualche giorno fa qualcuno ha voluto sollevare una pur simpatica polemica per la scritta “già capoluogo di provincia più alto d’Italia” sulla nuova segnaletica cittadina. Sono incidenti che capitano. Spesso la nostra ignoranza non raggiunge quella altrui e qualcosa sfugge. Solo chi non fa nulla non sbaglia. Ma l’occasione ci viene propizia per far riemergere quell’orgoglio ennese che tante volte sembra sopito.
Senza voler apparire nostalgici, intere generazioni sono cresciute nel “borgo ennese” come lo chiama il prof. Grimaldi, appassionandosi di lirica, di letteratura e di automobilismo e di un generoso comprensibile campanilismo nei confronti di altri “borghi” vicini.
Perché Enna, anche se ha perso la H iniziale rimane un luogo storico, con il più grande castello medioevale del Meridione ed uno dei più grandi d’Italia e i resti magnifici di un altro castello (castel vecchio o castel nuovo non importa), di cui rimane in piedi una altro simbolo della citta, la cosiddetta Torre di Federico.
Quella dei nomi affidati (e spesso affibbiati) ai monumenti è uno dei segreti magici di Enna. E se i nostri storici illustri ci hanno spiegato più o meno convincenti spiegazioni di quella Lombardia così lontana e allo stesso tempo vicina, basta invece guardare il castello (quello certamente federiciano) di Castel del Monte, per capire che la sagoma della nostra Torre corrisponde perfettamente al cortile interno del castello pugliese: l’uno positivo e l’altro negativo, uno il maschio e l’altro la matrice femmina.
E se adesso gli appassionati di musica lirica cominciano ad essere anziani, la suggestione di ascoltare arie come “casta diva” (dedicata alla luna nella Norma di Bellini), oppure “…e lucevan le stelle” (Tosca), così vicino al cielo nell’ormai scomparso “teatro più vicino alle stelle” è qualcosa che alcuni di noi non hanno mai provato ma fa parte del nostro patrimonio genetico e basterebbe dargli gli stimoli giusti per farlo tornare.
“Mistero della musica, dove ogni dramma è un falso, che con un po’ di trucco e con la mimica puoi diventare un altro”, direbbe Lucio Dalla.
Questa città è un mistero. Il premio Savarese, il premio F.P.Neglia, l’autodromo, il “tempio della velocità” come si diceva un tempo, sono cicatrici difficili da rimarginare.
Tutto cambia, ogni cosa va adattata al proprio tempo, ogni risorsa non può essere sfruttata allo stesso modo, la sensibilità verso l’arte o verso l’ambiente ci portano inevitabilmente a considerare in maniera differente il passato e modulare in modo ragionato e ragionevole il futuro.
Questo è compito di chi governerà questa città nei prossimi cinque anni. Possiamo dargli solo una indicazione e in qualche modo un progetto.
La famosissima “Nessun dorma”, dalla Turandot di Puccini, resa immortale da Pavarotti e tanti altri tenori, sarebbe anch’essa perfettamente ambientata in quel grande teatro all’aperto che non c’è più. C’è un segreto nelle sue parole “Tu pure, oh Principessa, nella tua fredda stanza, guardi le stelle che tremano d'amore e di speranza” che rivela come il famoso acuto “all’alba vincerò” non è un grido di guerra ma un’ansia d’amore. In questo caso verso la nostra città.
Peppino Margiotta