Ricorre violenza psicologica quando la persona offesa viene privata della sua capacità di autodeterminarsi ed agire secondo la propria volontà, pur in assenza di espliciti atti intimidatori.
Trattasi di una forma di violenza basata sulla disparità dei poteri tra i sessi, in quanto risulta predominante la “sopraffazione” dell’agente nei confronti della vittima che, in tal modo, si trova costretta a subire una condizione di inferiorità indotta.
La violenza psicologica è estremamente difficile da accertare. L’abuso psichico, infatti, viene definito come “un attacco diretto contro la fiducia in sé e l’autostima di una persona”.
Esso comprende comportamenti quali critiche costanti, il ridicolizzare, continue accuse di infedeltà, l’incapacità di tollerare il disaccordo, il minare l’autorità genitoriale davanti ai figli ed alle figlie, il controllo continuo dei movimenti, la pretesa che la partner renda conto del suo tempo, l’umiliarla in pubblico ed in privato o davanti ai figli ed alle figlie, ecc.
In pratica, con questo tipo di violenza, generalmente, l’uomo impone sulla donna il proprio dominio e la propria autorità.
Ulteriore aspetto problematico connesso alla violenza psicologica è rappresentato dalla mancata denuncia della vittima dei predetti atteggiamenti, comportamento riconducibile proprio alla posizione di sudditanza psicologica che rende inerme davanti a qualsiasi richiesta di aiuto o di tutela chi tali comportamenti subisce quotidianamente.
D’altro canto, tale tipo di violenza risulta essere particolarmente subdola ed è difficilmente tutelabile rispetto ad un’aggressione fisica la quale, nella sua invasività oltre che nella visibilità dei segni inferti, è facilmente accertabile.
Infatti, a differenza della violenza fisica, anche per la stessa vittima è spesso difficile percepire e comprendere immediatamente la natura illecita della violenza psicologica, rendendo così più lungo il percorso verso l’affrancamento e la realizzazione delle necessità di ricorrere a strumenti di tutela.
Gli atti di violenza psicologica, reiterati nel tempo, compromettono irrimediabilmente la sfera psichica della vittima e le sue stesse relazioni familiari, pregiudicando la sfera psichica ed emotiva del soggetto leso e sono idonee ad alterare le sue abitudini di vita.
Il pregiudizio alle dinamiche personali e sociali e l’incidenza nella qualità della vita, intesa come normale realizzazione della persona ed estrinsecazione e formazione della sua personalità, violano deliberatamente i principi sanciti nella nostra Costituzione, soprattutto in riferimento a quanto previsto dagli artt. 2 e 32 della stessa (diritti inviolabili e salute).
Ciò giustifica il ricorso della vittima di violenza all’Autorità Giudiziaria, al fine di richiedere il risarcimento del c.d. danno esistenziale attraverso la dimostrazione della ricorrenza del nesso di causalità tra condotta pregiudizievole ed evento dannoso psicologico che ne è conseguito.
Carmela Mazza
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