In questi mesi dell’ormai famoso 2020 dai padri e le madri, dai nonni e dai maestri chi non si è chiesto se i bambini stessero soffrendo o se le attenzioni a loro rivolte siano state sufficienti a contenere il disagio procurato dalla pandemia.
In questi tempi il lockdown ha posto numerosi problemi con i bambini rimasti in casa.
Quante spiegazioni per convincerli di non potere più uscire, andare a scuola o al parco, incontrare i loro amici.
Perché da un giorno all’altro ci si è trovati costretti in casa?
Non è stato semplice spiegarlo ai bambini e si è provato a dire che fuori è pericoloso, c’è l’influenza e non si può uscire.
Ed ecco così che il bambino vede il mondo esterno come una minaccia che ha sconvolto le quotidiane esperienze, i ritmi, le abitudini, i riti della vita quotidiana.
Difatti, svegliarsi la mattina, prepararsi, essere accompagnati dai genitori, incontrare gli insegnanti e i coetanei per i bambini è importante e il venire meno di questi elementi non può che creare disorientamento e insicurezza.
Essere rassicurati nella loro identità vivendo in ambienti prevedibili e sicuri è fondamentale per il confronto con altri bambini, i giochi di gruppo, le attività scolastiche. L’assenza di tali stimoli a cui si erano affezionati profondamente crea una vera deprivazione sociale.
Le conseguenze psicologiche sono evidenti. I bambini possono trovarsi alle prese di disturbi del sonno, irritazione, alti e bassi dell’umore, fino a comportamenti di opposizione, crisi di rabbia. Con la ripresa della vita normale molti di questi disturbi passeranno, ma quanta parte delle difficoltà resterà?
Purtroppo, va sottolineato che i genitori in lockdown hanno problemi legati allo smartworking, all’affollamento domestico, alla sfera economica, alla paura del virus.
E per la nota sensibilità dei bambini è inevitabile riscontrare gli effetti, in maniera differente a seconda dell’età. I più piccoli hanno colto di più il cambiamento dei ritmi quotidiani, hanno capito che il mondo esterno non era più raggiungibile mentre i più grandi hanno percepito gli stati di animo e le emozioni dei genitori, assorbendone ansie, incertezze, timore del contagio.
È un’emergenza di cui dobbiamo essere consapevoli. Soprattutto perché abbiamo a che fare con la fragilità di bambini nella delicata fase di crescita e scoperta della vita.
Dobbiamo renderci conto che ancora non siamo tornati alla normalità anche se la campagna vaccinale indica una via d’uscita dalla crisi. Purtuttavia, dobbiamo essere capaci di mettere a centro della nostra attenzione i bambini piccoli e grandi, senza rinviare a tempi migliori la ricerca di una normalità che vorremmo serena e senza pericoli.
I genitori stanno vivendo tempi straordinari e nel bene e nel male condividono in famiglia sentimenti e comportamenti non sempre concilianti, se non addirittura conflittuali. Con il massimo della comprensione questa è da considerarsi una prova straordinaria a cui non si era preparati.
E' necessario, pertanto, affrontare questa emergenza educativa ricorrendo a tutte le energie e competenze che in famiglia si sono sviluppate per educare ed intrattenere i bambini. La priorità di genitori, nonni, zii, cugini, deve essere il loro intrattenimento e la loro educazione alla socialità, incentrata su comportamenti capaci di prendersi cura gli uni degli altri.
Quindi, nei limiti del possibile va incentivata la vita sociale superando le barriere ed i recinti di protezione che in questi mesi abbiamo eretto a tutela della salute.
La famiglia dovrà essere collocata al centro delle attenzioni della comunità che con la sua funzione educante può sostenerla a superare l’incombente fatalismo senza speranza del vivere alla giornata, ripiegata in sé stessa e pronta ad implodere.
Gaetano Mellia